In questi tempi incerti abbiamo sentito forte il bisogno di creare uno spazio ospitale, capace di accogliere le parole, i pensieri e le esperienze di chi ha deciso di andare controcorrente rispetto al pervasivo discorso mediatico, politico e culturale che domina l’attuale tempo storico producendo passività e un non fertile disorientamento.

Prove d’ascolto” accoglierà una serie di incontri a due con personalità provenienti da discipline, lingue e culture diverse. Il nostro desiderio è che questi dialoghi creino una tessitura narrativa e un’investigazione a più voci fatta di rimandi a distanza, di possibili provvisorie risposte agli interrogativi comuni di chi non intende chiudere gli occhi o distrarsi.

Questo nuovo spazio si fonda sull’ascolto, il silenzio, la parola e i corpi. Una riflessione sul lavoro intellettuale e artistico, sulla complessità e la semplicità del mondo, sulle trasformazioni dello sguardo e dei paradigmi interpretativi, sulla capacità di rinvenire nessi e costruire relazioni.

Questo mondo che non mi rivolta più, che non provoca in me che noia e inquietudine, è precisamente il mondo “senza il cinema”. E cioè senza quel senso di appartenenza all’umanità attraverso un Paese supplementare chiamato cinema. E il cinema, so bene perché l’ho adottato: perché mi adotti a sua volta. Perché, instancabilmente, mi insegni a capire, attraverso lo sguardo, a che distanza da me comincia l’altro.
Serge Daney

I simboli che ciascuno di noi porta con sé, e ritrova improvvisamente nel mondo e li riconosce e il
suo cuore ha un sussulto, sono i suoi autentici ricordi. Sono anche vere e proprie scoperte. Bisogna sapere che noi non vediamo mai le cose una prima volta, ma sempre la seconda. Allora le scopriamo e insieme le ricordiamo.
Cesare Pavese

In Palestina i nostri sono stati esperimenti di grounding utopia: provare a immaginare e realizzare trasformazioni che coinvolgono la comunità, rendendola soggetto politico attivo, progettuale, partecipante. È stato un esercizio di attualizzazione del futuro, una rivolta contro lo statu quo.

Nei campi profughi di Palestina, che sono stati per noi un formidabile luogo di apprendimento, abbiamo capito la dimensione della porosità, della malleabilità, che cosa significhi essere fuori dalle regole. Lì appartenenza non equivale a ownership. Il campo è un laboratorio in cui si scopre come vivere senza possedere, come riutilizzare le cose senza esserne proprietari.

Dobbiamo guardare al corpo da tutti i punti di vista per farci un’idea della portata della guerra che il capitalismo ha scatenato contro gli esseri umani e la “natura”, e ideare strategie per porre fine a questa distruzione.

La caccia alle streghe fu la prima persecuzione in Europa in cui si fece uso di una propaganda multimediale per generare una psicosi di massa tra la popolazione. Allertare la gente sui pericoli che ponevano le streghe, con libelli che pubblicizzavano i processi più famosi e i dettagli dei loro atroci delitti, fu uno dei primi compiti della stampa.

Quando ho letto Cime tempestose, da ragazzina della classe operaia che lottava per trovare se stessa, da emarginata, ho sentito che Heathcliff ero io.
Per me era il simbolo di una specie di razza nera: era un emarginato, non gli era permesso stare al centro delle cose.
Ho trasposto il dramma di vivere nel Sud dell’apartheid nel mondo di Cime tempestose e mi sono sentita in armonia con quei personaggi.

È bell hooks, mancata il 15 dicembre del 2021, a raccontarlo in una conversazione del 1998 con la scrittrice africana-americana Maya Angelou, per poi aggiungere: “Sono così turbata quando le mie studentesse si comportano come se leggessero solo donne, o gli studenti neri come se potessero leggere solo neri, o gli studenti bianchi identificarsi solo con uno scrittore bianco. Sono convinta che la cosa peggiore che ci può capitare è perdere di vista il potere dell’empatia e della compassione”.

Se la tua pelle non ti fa sentire a casa, dove mai potresti vivere?

Un vicolo cieco è un posto fantastico. I vicoli ciechi sono opportunità per riconfigurare le nostre idee di continuità.

Che cosa è meglio di una risposta? Il dono dello smarrimento. La trama del perdersi generosamente.

I pensieri non vengono da “dentro” e nemmeno da “fuori”. Emergono “tra”. Lo stesso vale per i sentimenti.

Prove d'Ascolto Christoph Hänsli
Prove d'Ascolto Christoph Hänsli

Christoph Hänsli
2 dipinti di una Serie di cinquantasette
Verloren (Serie B), 2013-14
acrilico su carta, montati su MDF
11 x 15.5 cm ciascuno (Collezione Kazi, Zurigo)

L’artista svizzero Christoph Hänsli (*1963), meticoloso interprete dei cicli vitali e mortali della nostra epoca, è testimone ossessivo e ironico del farsi e disfarsi della materia. Per questo pittore che ha fatto dell’‘insignificante’ il territorio di uno scandaglio sapiente e instancabile, umano/non umano, animale/vegetale/minerale, naturale/fabbricato sono la costellazione di infiniti, coesistenti possibili.

Le sue opere, tra cui l’epica Mortadella del 2006-08 (trecentotrentadue piccoli dipinti, ciascuno raffigurante una fetta del salume a grandezza naturale), nascono dall’osservazione attenta dell’invisibile o, meglio, di ciò che sfugge al nostro sguardo, perché non ci facciamo caso o lo diamo per scontato – interruttori della luce, lucidatrici, letti di anonime camere d’albergo, griglie di ventilazione, bicchieri di birra più o meno vuoti, armadietti domestici dei medicinali, barattoli, tubi, viti arrugginite… L’universo di Hänsli è fatto di oggetti di uso quotidiano, banali, umili, pronti a servirci e a nascondersi, destinati all’obsolescenza e tuttavia essenziali al nostro vivere, nostri autentici e protesici compagni di vita.

Per introdurre le nostre “Prove d’ascolto” abbiamo chiesto a Christoph Hänsli di poter usare due dei suoi dipinti di ‘viti smarrite’, quelle di cui facciamo entrambi collezione da anni, raccogliendole nelle strade dei luoghi che frequentiamo. Lui le dipinge, io le fotografo. Ciò che ci unisce e che dà senso a questa nostra piccola cospirazione è che entrambi pensiamo alle cose minute come a un ‘parlamento di cose’ dotate di una storia da raccontare. Minuzie che inducono, appunto, all’ascolto, ricordandoci che l’umano è fatto di tante collaborazioni, che la materia si intreccia, perisce, si rigenera e noi con lei, come se insieme percorressimo un invisibile, rutilante nastro di Möbius.

Grazie, Christoph!

E grazie a Guido Scarabottolo per l’idea grafica, la composizione e il lettering.

Maria Nadotti
co-curatrice del progetto Prove d’ascolto